La clessidra

(Lettera allo zio Ernesto)

Un giorno le chiesi (ricorda?):
“Che cos'è il tempo?”.
Sollevò gli occhi cerulei e sorridenti
da un ponderoso libro e: “Il tempo -mi rispose-
è un granello di sabbia
d'una immensa clessidra
chiamata eternità”.

...

Il passar dei giorni ora
traguarda miei lontani ricordi
che scorrono nella memoria
come acqua negli accosti dei basolati
od ombre sui muri abbruniti
dei dammusi
del nostro lontano paese.
Quanti ricordi!
In essi mi rivedo fanciullo
intento a fantasticare
-il volto poggiato
sui vetri d'una finestra

guardando i passeri sostare
sui fili della luce
come crome o biscrome
sul pentagramma della vita-
o le nuvole, al tramonto,
in un subito cangiarsi nelle iridescenti sembianze
ora d'Orlando ora di Rinaldo
o del perfido Gano di Magonza,
ridicoli eroi dell'opera dei Pupi.
Tempo passato. Eppure,
se chiudo gli occhi,
mi par di sentire ancora
negli assolati meriggi
il lungo lamentoso
grido degli ambulanti
simile all'adhàn del muezzin
da uno sperduto minareto
o, nelle gelide notti d'inverno,
il vento a volte zufolare
a volte ululare
come famelico lupo alle porte
delle case terragne,
o ancora, al morir del giorno,
gli accordi dolenti del suo
vecchio violino.
…Tempo remoto, mio caro:
grani scorsi nella clessidra...
Di questi per me non so quanti
ancora attraverseranno
la strettoia.
Non lo voglio sapere:
la morte mi colga
quando Dio vuole.
Nient'altro.
Vossia mi benedica.*


*Vossia : saluto che i giovani siciliani, un tempo, solevano rivolgere alle persone anziane.